Caro 2020
ph: Tamara Casula

Caro 2020

Caro 2020,
la fuori è pieno di gente che è pronta a festeggiare la tua fine.
È comprensibile. Hai preso tanto.
Chissà se in principio eri venuto con l’intenzione di dare una lezione a tutti noi, magari fregandotene di essere popolare.
Un po’ come un vecchio professore di mezzo secolo fa che pur di ottenere un risultato prendeva a bacchettate sulle mani gli scolaretti.
Magari sei solo stato sfigato.
Ecco, secondo me sì. Secondo me sei stato semplicemente sfigato.
Pensa, se tu fossi stato il 1347 probabilmente tutto sto pandemonio non sarebbe sembrato così anormale.
Magari sarebbe stato attribuito alla collera di Dio e non saresti stato sbattuto su tv e giornali ogni giorno.
Oppure pensa se tu fossi stato il 2468. Quando l’umanità sarà immunizzata da ogni cosa con una semplice una pillolina arancione.
Chissà…
Sei finito in un’epoca strana. In cui abbiamo conoscenze ma le neghiamo per dar retta a qualche opinionista su twitter. In cui prima piangiamo la potenza di un virus e poi rifiutiamo l’idea di un vaccino. In cui finita l’ora di lezione, siamo pronti a festeggiare con aperitivi di massa dimenticando tutto. In cui se qualcuno fa la spesa per qualcun altro in difficoltà, c’è subito qualche inquisitore pronto a puntare il dito contro la malafede del gesto.
Tu non sei stato proprio un compagno ideale ma tante cose, se non le abbiamo imparate con te, dubito che le impareremo in futuro.
Ma eccoci alla fine.
Che tu sia stato un professore cattivo o semplicemente un anno sfigato non lo so.
So che adesso vai via e che comunque ti ricorderemo.
Hai preso tanto. A chi più e a chi meno.
Tutto sommato io non mi lamento.
Da tante esperienze ho tratto insegnamenti che non voglio riascoltare ma che cercherò di tenere presente: dare tempo a persone di valore e non sprecare tempo con chi ti ammazzerebbe per una barretta di cioccolata.
Imparare, imparare a fare a meno. Essere autonomi e liberi anche tra quattro mura.
Guardare attorno. Un gesto gentile, una parola a uno sconosciuto. Empatia.
Tenere stretto ogni minuto ben vissuto perché sia d’aiuto quando tremano le ginocchia.
E ricominciare. La lezione più grande. Ricominciare.
Saperlo fare, riorganizzare, riprovare e ripartire. Anche quando non è rimasto nulla in mano.
Caro 2020, non posso certo dire che mi mancherai ma ti ricorderò.
Forse un giorno, non ora perdonami, potrò anche ricordarti come ci si ricorda da adulti di un vecchio professore che, pur di insegnarti a vivere, ti bacchettava le mani.
Se non proprio con affetto ti guarderò come ho guardato quelli che, anche con le cattive, m’hanno fatto diventare più grande.
Addio

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