Nonno ennio e Marco Polo

Nonno ennio e Marco Polo

8 anni…
Avevo 8 anni.

A 8 anni non ero ancora nemmeno un ometto e potevo permettermi di non mettere in guinzaglio alle emozioni. Piangere per poco, ridere per nulla.

Ero ancora libero dall’idea di dover nascondere l’emotività.

A 8 anni non ero però così piccolo da annoiarmi di fronte a quella porta socchiusa che mi lasciava intravedere le cose dei grandi. Ed ero abbastanza curioso da osservarle.

Anche senza capirle del tutto.

Mi ero ritrovato così a guardare uno sceneggiato rai: “Marco Polo”. All’epoca gli sceneggiati ti davano il tempo di far sedimentare una storia, l’attesa dava la possibilità di coltivare l’interesse. Ed era meraviglioso.
Io guardavo Goldrake, Mazinga, cartoni animati.

Non avevo l’età per interessarmi agli sceneggiati rai ma Marco Polo mi aveva totalmente rapito.

Ero curioso e come ogni bambino, non avendo fortunatamente uno smartphone in mano, per capire le cose dovevo chiederle ai grandi.
E più guardavo affascinato quel viaggio e più facevo domande alla mia famiglia tutta riunita sul divano:

“Perché ci vuole così tanto per arrivare in Cina?”, “Che cos’è la seta?”, Perché Marco Polo ha messo una cintura in bocca al figlio del Gran Khan?” Perché, perché, perché… E devo dire che le risposte arrivavano e io mi appassionavo sempre di più.

Una sola domanda tenevo per me. Forse sapevo che avrei voluto trovare la risposta da solo o forse era troppo intima anche per un bambino.

“Perché dopo aver visto ogni puntata mi addormento con le lacrime?” “Perché mi commuovo?” “Cosa mi mette questa malinconia addosso?”… Mi chiedevo e non capivo.

Rivedevo le scene, pensavo ai personaggi, alla storia ma niente. Non trovavo da dove quella malinconia venisse fuori.

Passano gli anni. “Marco Polo” ogni tanto torna in mente e con quel ricordo anche quel magone.

Ma adesso sono più grande. Adulto. Ho 20 anni e la risposta arriva senza nemmeno rifare la domanda.

Avevo finito di giocare a calcio. Mi ero seduto un po’ in spiaggia. La mia mente si era riallacciata per chissà quale meccanismo allo sceneggiato di Marco Polo e la risposta finalmente era arrivata come fosse sempre stata lì.

“La musica! La musica! La colonna sonora dello sceneggiato!

Ecco cosa mi mette sta malinconia. Ecco cosa ricordo con insistenza di quello sceneggiato”

La musica era ovunque in quegli episodi ma non la vedevo. Avevo 8 anni. Non sapevo dove cercare.

Iniziavo così le mie ricerche in un’epoca in cui le ricerche non si facevano in un attimo con google. Cercavo, chiedevo, dovevo conoscere chi se lo ricordava, chi sapeva. Passano anni e finalmente scopro.

Ennio Morricone.

L’ha scritta lui quella musica che non aveva mai lasciato la mia mente dalla prima volta e che ogni tanto tornava con tutto il suo carico di malinconia.
Altri anni passano. Trovare quella colonna sonora è difficilissimo. Approfittavo dei pochi viaggi a Roma per cercare nei negozi delle grandi città ma niente….
Altri anni passano e, finalmente, riesco a trovare lo sceneggiato in una biblioteca.

L’ho riguardato a occhi chiusi. Mi interessava solo la musica.

Ascoltavo quei cori “storti”, quei suoni orientali e piangevo. Stavolta da adulto.

Adesso il mondo è diventato piccolo. Internet ha tutto, i negozi sono on line.

Ritrovo l’intera opera e la ascolto come il più bel regalo che quell’uomo mi abbia fatto: insegnarmi quanto la musica possa riempire le immagini di sentimenti, di emozioni vive.
E oggi non c’è film che io non sia tentato di ascoltare ad occhi chiusi.

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